Una grande spallata alla “follia” del vincolo sportivo
Siamo nel 2011. Un ragazzo minorenne gioca a calcio nei Juniores della Virtus Villadossola.
L’anno dopo la società non iscrive più la squadra della sua categoria ai campionati. Il ragazzo, ovviamente, pensa subito di cambiare società ed andare a giocare altrove. Sembra facile. Come migliaia di ragazzi, lui ha firmato quella “follia obbligatoria” chiamata vincolo sportivo. In pratica sino a 25 anni è proprietà della sua società sportiva.
Tecnicamente si chiama “premio di preparazione”, concretamente è una sorta di “schiavitù sportiva”. Il desiderio di cambiare società sportiva costa ai genitori o alla nuova società sportiva 1.500 euro. Sino a qui nulla di straordinario, perché questa storia triste capita infatti a migliaia di ragazzi in tutta Italia.
Il bello però arriva dopo. I genitori del ragazzo non si fermano e presentano una vertenza legale.
Bene: il giudice del tribunale di Verbania, Mauro D’Urso – forse senza saperlo – ha emesso qualche giorno fa una sentenza di portata storica ed epocale. Per il settore dilettantistico di portata paragonabile a quella Bosman, che cambiò in pratica le regole dei trasferimenti per il calcio dei professionisti. In pratica ha dato ragione al ragazzo dicendo che può andare a giocare dove vuole.
Ed ora come la mettiamo?
Per ora le cose stanno così. Il vincolo sportivo resta in vigore e se un ragazzo vuole liberarsene deve fare ricorso alla magistratura sperando di trovare un giudice altrettanto illuminato come quello di Verbania.
Ma la crepa si è aperta e la sensazione è che sia solo questione di tempo.
Il presidente della Federcalcio, Carlo Tavecchio, da sempre vicino ai problemi veri e reali delle società sportive, lo ha detto con chiarezza: «Ragioniamo e discutiamone, perché il vincolo si può togliere». Ed allora facciamolo. Togliamo alla svelta questa “gabella” che ha il sapore di scelte vecchie ed anacronistiche. Il diritto al gioco dei ragazzi viene prima di tutto. Il Centro Sportivo Italiano lo afferma da sempre, tanto è vero che al suo interno il vincolo del cartellino non è mai esistito ed a fine stagione ogni ragazzo è libero di andare a giocare dove vuole.
Possiamo anche essere d’accordo sul fatto che nei settori giovaniliprofessionistici rimanga un vincolo, magari corretto e modernizzato. Ma, nel 2015, dire ad un ragazzo che gioca nel settore giovanile di una società iscritta alla terza categoria che non è libero di giocare dove vuole appare oggi medievale. Ed allora andiamo avanti con coraggio. Il giudice del Tribunale di Verbania ha dato una spallata fortissima alla resistenza del vincolo sportivo, anche se buttarlo giù sembra assai più difficile che far cadere il muro di Berlino.
Ma è arrivato il tempo. Prende forza la speranza di vedere finalmente un mondo dello sport dove ogni ragazzo ed ogni ragazza possano scegliere dove giocare. È una battaglia di cultura e civiltà sportiva e vincerla è interesse di tutti.